Chiese sconsacrate o scomparse

Già dai tempi precedenti all’Editto di Milano (313 d. C.), Cerveteri si distinse per una fede zelante e profonda. Corollario di ciò, la presenza nel nostro territorio di molte chiese, proliferate nei secoli a servizio della popolazione e delle confraternite. È giusto quindi approfondire, per motivi di storia e di devozione, il trascorso di quelle chiese che appartenevano alla nostra parrocchia e che oggi, per vari motivi, si trovano ad essere sconsacrate o sono state distrutte nei secoli.

San Martino

La chiesa di San Martino sorgeva al posto dell’attuale Piazza Risorgimento. Si estendeva all’incirca tra gli attuali Bar degli Elfi e Ristorante Barrel, al centro della piazza.

Essa fu costruita verosimilmente intorno al 1500, non ci è dato sapere se su resti più antichi o Ex Novo, e presentava una struttura a navata unica piuttosto grande (99 palmi per 53 palmi e ¼), tanto da essere considerata perfino nelle Visite Pastorali la Chiesa Parrocchiale, a discapito di Santa Maria Maggiore. Gli stessi cittadini di Cerveteri, tra cui la venerabile Rosa Calabresi, erano assidui frequentatori della chiesa, preferita a Santa Maria Maggiore sia per la grandezza che per la vicinanza alle case della gente, relegando alla Chiesa Parrocchiale effettiva la funzione di cappella privata di casa Ruspoli.

La chiesa sorgeva isolata dagli edifici circostanti per mezzo di due vie, una che conduceva verso la porta cittadina, l’altra terminante con un campanile in laterizio contenente due piccole campane. Gli ingressi erano due: uno sorgeva nella facciata (dinanzi l’attuale fontana del Mascherone), l’altro sul lato sinistro, dinanzi l’attuale ingresso della vecchia canonica. L’interno era illuminato da 3 finestre, due sulle mura laterali ed una in controfacciata, ed era dotata sul fianco destro di una piccola stanza con funzioni di Sacrestia. Nella chiesa erano presenti sei sepolture: quella nella cappella della Pietà era riservata ai Confratelli e Consorelle della Confraternita del Santissimo Sacramento, quella dinanzi all’altare di San Biagio recava l’iscrizione “Parvulos”, essendo destinata ai bambini. Le altre sepolture erano destinate al resto dei fedeli ed erano dislocate all’interno della chiesa.

La chiesa era dotata di tre altari:

L’altare maggiore, libero su tutti i lati, era in marmo ed era adornato da un grande crocifisso ligneo sul quale era affisso un antico simulacro del Cristo. Nel retro sorgevano alcuni sedili per il clero ed un grande affresco raffigurante l’Incoronazione della Vergine
tra i santi Giovanni Battista e Martino vescovo. Nel registro inferiore dell’affresco era dipinta l’immagine di san Michele Arcangelo circondato dai Dodici Apostoli;

L’altare di sinistra era dedicato alla Pietà, con un dipinto attribuito alla scuola di Perin del Vaga raffigurante Maria Vergine con in grembo il Figlio deposto dalla croce. Il dipinto dopo la demolizione della chiesa venne trasferito nell’erigendo Cimitero Vecchio, per poi trovare posto nel 1950 nella chiesa parrocchiale;

L’altare di destra era dedicato a San Biagio. L’altare era composto di un antico e pregevole ciborio in marmo datato 1542, nel quale era scolpito il Salvatore. Alla sommità del ciborio vi era l’immagine di San Biagio vescovo e martire tra i santi Apollonio e Agata. All’interno di questa cappella sul muro sorgeva un’antica tavola raffigurante l’Adorazione dei Magi ed una tavola raffigurante il Santissimo Salvatore. Dopo la demolizione della chiesa il ciborio venne trasportato a Santa Maria Maggiore, dove venne inizialmente montato presso la porta della navata sinistra e utilizzato come “Battistero” (probabilmente con la funzione di tabernacolo degli olii santi), per poi essere rimontato nel 1952 nella cappella di destra come altare del Santissimo Sacramento, al posto che attualmente occupa, insieme all’immagine del Santissimo Salvatore, precedentemente in una cappella ed oggi sull’arco di collegamento tra la chiesa antica e nuova. L’immagine di San Biagio non ci è pervenuta come descritta dalle fonti, ma ci è pervenuto un pregevole dipinto opera di Perin del Vaga raffigurante San Biagio con un cavaliere di Malta: possiamo ipotizzare che il dipinto menzionato sia proprio questo, arricchito nei secoli da due affreschi raffiguranti i santi Apollonio ed Agata. Ad ogni modo, ad oggi è possibile ammirarla nella Sala Giunta del Palazzo Comunale, nel quale era custodita anche la tavola dell’Adorazione dei Magi che oggi risulta rubata.

La chiesa, di proprietà comunale ma affidata alla Confraternita del Santissimo Sacramento, viene descritta come cadente già nella metà dell’800: per questo, dieci anni dopo la Breccia di Porta Pia, insieme ad altre case circostanti viene demolita per far posto all’odierna Piazza Risorgimento: in sua memoria ancora oggi l’antico Palazzo Comunale, eretto proprio in quegli anni, porta il nome di “Palazzo di San Martino”.

Santi Rocco e Sebastiano

Al principio del 1600 vi erano due chiese vicine ma distinte: la chiesa di San Rocco, nella via che tutt’oggi porta il suo nome, e la chiesa di San Sebastiano, attuale Pub Quintet, ancora oggi visibile. Nella prima si seppellivano i poveri e i pellegrini, nella seconda, anche se consacrata, non si celebrava ormai da anni. Le chiese, costruite verosimilmente nel XVI secolo dall’antica Confraternita di San Rocco (dal 1635 Confraternita del Santissimo Sacramento) e da essa successivamente gestite, furono costruite come ex voto per aver salvato i cittadini di Cerveteri dalla peste.

Intorno al 1660 la chiesa di San Sebastiano venne profanata ed adibita ad ospedale, spostando dedica e suppellettili nella vicina chiesa che divenne dei “Santi Rocco e Sebastiano”.  La chiesa era il centro operativo della confraternita, che qui seppelliva i poveri e i malati, e che garantiva assistenza fisica e religiosa a tutte le persone bisognose. La confraternita stessa si occupava persino dei funerali della popolazione, facendo si che persino la persona più indigente potesse avere un funerale e una sepoltura dignitosi.

La chiesa aveva una facciata di gusto settecentesco ancora visibile nei primi del ‘900 con una grande finestra circolare, al disotto della quale si apriva la porta d’ingresso. Sul tetto era presente un campaniletto a vela ospitante una piccola campanella. L’interno presentava le pareti completamente affrescate con le storie dei due santi: a sinistra quelle di San Rocco, a destra quelle di San Sebastiano. I bozzetti preparatori di alcuni affreschi vennero eseguiti da Rosso Fiorentino, e si possono ammirare oggi al Museo del Louvre a Parigi. Nella parete di fondo sorgeva l’unico altare nel quale troneggiava un dipinto raffigurante un santo pontefice tra i santi Rocco e Sebastiano. Sopra l’altare sorgeva un baldacchino processionale dipinto da J. P. Schor. Nel pavimento era presente una sepoltura destinata ai poveri e ai pellegrini.

La chiesa, forse per difetti di costruzione o per la continua sepoltura dei poveri, venne dilaniata dall’umidità, che la fece sempre apparire come malridotta e cadente nonostante la manutenzione: nel 1687 le pitture murali vengono descritte come bisognose di restauro, e nel 1719 apparivano illeggibili a causa dell’umidità. Nel 1753 appare imbiancata alle pareti e restaurata, ma non è officiata per mancanza di suppellettili. Tra il 1815 e il 1826 vengono restaurate mura, tetto ed infissi. Fino al 1863, anno di costruzione del monumentale cimitero, il sepolcro viene definito funzionante. In quell’anno probabilmente viene svuotato insieme a quello della chiesa di San Martino per trasferirne le ossa nell’ossario del vecchio cimitero.

Le ultime testimonianze della chiesa sono fotografiche: la chiesa agli inizi del ‘900 è senza tetto e ridotta alle quattro mura in rovina, ciononostante viene installata al suo interno l’illuminazione elettrica e fino alla sua demolizione, avvenuta all’incirca negli anni 40 per far posto a delle case, funzionava come sala prove della banda comunale.

Chiesa di San Michele “Vecchio”

La Chiesa di San Michele Arcangelo “Vecchio”, popolarmente chiamata col nome di Sant’Angelo, sorge al termine di Via dei Monaci Benedettini, all’interno di un fondo privato. Si può godere della sua vista da Via Settevene Palo, pressappoco dinanzi allo svincolo per Ceri e al ponte sul Vaccina, dove troneggia la sua fabbrica di poco sporgente dal costone di tufo che da essa prende il nome di “Greppe S. Angelo”. A pochi metri di distanza dalla nostra chiesa, verso destra guardando la facciata, sorge infatti la famosa Necropoli rupestre dalla quale è stato ritrovato il Cratere di Eufronio. La chiesa è posta in un punto strategico, essendo prossima alla Porta Sud dell’antica Caere, la quale sorgeva nel punto dove oggi è sita la cappellina di S. Antonio e dalla quale entrava in città una variante della Via Aurelia, via diretta per Roma.

La storia di questa chiesa è antichissima: probabilmente tempio etrusco extraurbano, nell’epoca cristiana è scelto come luogo di culto e di rifugio dalla comunità benedettina. Le prime notizie certificate risalgono all’anno 847, quando il pontefice Leone IV concesse la protezione della città all’ arcangelo San Michele: è infatti questo il luogo in cui, secondo la leggenda, San Michele fermò le campane che suonavano per avvertire i Cervetrani del pericolo saraceno, divenendo da quel giorno santo patrono della nostra città. I diritti del monastero e la protezione del santo vengono confermati negli anni 896 da Stefano VI e nel 1189 da Clemente III. Nel 1256 Alessandro IV riconfermando l’ordine benedettino sottopone il monastero ai cistercensi di San Pancrazio. Nei documenti antichi viene citata come “San Michele sub ripa iuxta Cerveterem”.

A partire dal XV secolo la presenza benedettina a Cerveteri scompare per far posto agli Agostiniani, i quali assistendo la parrocchia si stanziano nel nostro monastero e fondano le chiese di S. Angelo nuovo (attuale chiesa delle Suore) e Madonna dei Canneti; inoltre prestano servizio in quella dei Santi Rocco e Sebastiano. Risulta inoltre che da questa chiesa dipendesse un altro convento denominato “La Maddalena”, situato nell’omonima località, che viene citato dai documenti nel 1652.

La chiesa è composta da una navata unica, con soffitto a capriate, terminante con due absidiole scavate nella roccia. Essa prende luce da tre finestre, una sulla facciata e una su ogni parete laterale. Si accedeva alla chiesa da due porte, la principale ancora esistente in facciata, l’altra sulla parete sinistra comunicante col monastero. Il campanile sorgeva sopra il dirupo a cui essa è addossata, ed era descritto come di una certa altezza e imponenza, ma nel 1662 venne abbassato in seguito ad un fulmine. Esso conteneva due campane, una delle quali tradizionalmente recava le impronte dell’arcangelo Michele. Secondo le fonti esse sono tuttora presenti nella chiesa di San Michele.

Nelle due absidi della chiesa sorgevano altrettanti altari:

  • L’altare di sinistra era il maggiore, ed era dedicato a San Michele Arcangelo. Esso era in legno, ed era sovrastato dalla statua di San Michele inserita in una cornice dipinta coi santi Agostino ed Egidio. Nel muro laterale erano conservate diverse reliquie dei santi, soprattutto la testa di Santa Fenicola martire e il calice e la patena di S. Egidio. Dietro l’altare vi era una scala per accedere alla cripta dove era sepolto S. Egidio Abate;
  • L’altare di destra era dedicato alla Madonna del Soccorso, con un altare in muratura ed un dipinto raffigurante la Santa Vergine col Bambino tra i santi Agostino e Monica. Dietro l’altare vi era la sagrestia.

Altri due altari a servizio dei Monaci erano nel cortile del convento, ed erano dedicati ai santi Nicola da Tolentino e Tommaso da Villanova. Essi erano arricchiti da altrettante tele ad olio raffiguranti i rispettivi santi.

Il monastero annesso era coevo alla chiesa, era a due piani con sei celle nel piano superiore ed una cantina con refettorio in quello inferiore; era altresì provvisto di un cortile protetto da mura e di un pozzo con acqua corrente.

Dopo la presa di Porta Pia per effetto delle Leggi Siccardi i beni degli Agostiniani vennero incamerati dallo Stato.  Il monastero e la Chiesa furono ceduti al Comune, che la riaffidò agli Agostiniani con l’obbligo di officiarla. Essendo però questi ultimi in difetto parrocchiale, abbandonarono il complesso che venne venduto dal comune a privati. Ad oggi la Chiesa, ridotta a “Finilessa” sopravvive ancora discretamente, mentre il monastero è in rovina.

Cliccando questo collegamento è possibile vedere su Street View la chiesa: https://www.google.it/maps/@41.9883562,12.1079452,3a,15y,329.33h,93.15t/data=!3m6!1e1!3m4!1ss-ZXOpLj7D5FiI4z8H2U_A!2e0!7i16384!8i8192?hl=it

Santa Maria della Fonte

La chiesa di Santa Maria della Fonte era situata in via del Lavatore, presso il vecchio lavatoio pubblico dal quale prese il nome. Essa sorgeva sulle rive del fosso del Manganello, motivo per il quale già dal 1627 viene descritta come in rovina.

La chiesa era di modeste dimensioni, a navata singola con pavimento in cotto ed un solo altare sovrastato dall’immagine della Madonna col Bambino e San Sebastiano martire, racchiusa in una cornice di legno dorato. Essa prendeva luce da una finestra munita di inferriate posta sopra la porta, dotata di un catenaccio. Lateralmente da un piccolo campanile a vela pendeva una piccola campanella, che veniva azionata dall’interno della chiesa.

La chiesa, fatiscente e bisognosa di restauri, veniva officiata soprattutto il giorno dell’Immacolata Concezione. È dichiarata ancora esistente fino al 1870.

Altre Chiese Scomparse della nostra Parrocchia

Nel territorio della nostra Parrocchia sorgevano anche le chiese:

  • San Paolo Apostolo: chiesa dalle dimensioni maestose ma rovinata quasi subito, le sue tre absidi paleocristiane sono ancora ben visibili, integrate nel moderno “Casal dei Guitti” in località San Paolo.
  • San Pietro Apostolo: viene citata da Francesco Rosati in “Cere e suoi monumenti” come cappella di origine medievale ridotta in rovina dai secoli, sorgeva all’incirca nell’area dell’ attuale Via dei Villini. Essa diede il nome all’ odierno Rione San Pietro.
  • Monastero di S. Maria Maddalena: posto al confine tra la nostra parrocchia e quella di Ceri, era alle dipendenze del convento di S. Angelo Vecchio e faceva parte di una tenuta di 5 ettari. Già nel 1890 Francesco Rosati ne trovò solo le “vestigia”. La tenuta, che oggi si estende a triangolo dalla macchia della Signora alla zona del Ferraccio porta ancora il nome di “Valle della Maddalena”, che insieme al fosso e alla cascata circostante testimoniano ancora, col loro toponimo, la presenza di questo antico luogo sacro.

Bibliografia essenziale e fonti

  • Maria Baldoni, Lazio 4 – Cerveteri, Collana Atlante storico delle città italiane – Multigrafica Editrice
  • Archivio della Diocesi di Porto e S. Rufina
  • Archivio storico parrocchiale
  • C. B. Piazza, La Gerarchia Cardinalizia
  • R. Papi, Cerveteri – centro storico 
  • M. Fornara – Interventi barocchi nelle chiese di Ceri, Cerveteri e Sasso
  • don G. Rossi, L’agro di Roma tra ‘500 e ‘800
  • F. Rosati, Cere e suoi monumenti
  • G. Rinaldi, La confraternita di Cerveteri
  • G. Tomassetti, La campagna romana antica, medievale e moderna, volume II – Forni Editore